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Disconoscimento di paternità

A norma dell’art. 231 c. civ. “il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio”, si presumono concepiti in costanza di matrimonio i figli di donna coniugata, nati non prima di 180 giorni dalla celebrazione e non oltre 300 giorni dallo scioglimento del matrimonio o dalla separazione dei coniugi (art. 232 c. civ.).

Si può promuovere azione volta al disconoscimento di paternità sia per il figlio concepito durante il matrimonio, sia per i figli nati al di fuori di un’unione coniugale.

La prima azione, ossia il disconoscimento del matrimonio per il figlio concepito durante il matrimonio, è consentita soltanto nei seguenti casi (art. 235 c.civ.):

  • se i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso fra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima della nascita;
  • se durante il tempo predetto il marito era affetto da impotenza, anche se soltanto di generare;
  • se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la propria gravidanza.

In riferimento all’ultima ipotesi il legislatore prevede che in tali casi il marito è ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre.

L’azione di disconoscimento della paternità è diretta a superare lo stato di figlio legittimo attribuito al figlio per effetto delle presunzioni di legge, negando specificamente la paternità di colui che dal titolo risulta padre.

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pagina aggiornata al 28/10/2015